Osteopatia, vantaggi e svantaggi della legge italiana.

Una recente pubblicazione (vedi allegato) analizza i potenziali effetti dell’approvazione del profilo italiano dell’osteopata sul Sistema Sanitario Nazionale e, conseguentemente, sugli omologhi Sistemi internazionali. Gli autori sono osteopati-ricercatori accreditati in Italia e in tutti i principali Paesi dell’Europa occidentale

La legge italiana riconosce l’autonomia degli osteopati in qualità di nuovi professionisti della salute. Tuttavia, per evitare che il profilo professionale si sovrapponesse a quello di altre professioni, il loro intervento è stato ricondotto al mantenimento delle buone condizioni di salute in prospettiva esclusivamente preventiva e mediante trattamento delle sole disfunzioni somatiche muscolo-scheletriche.

Allo scopo di inaugurare un proficuo dibattito sul tema, gli autori evidenziano le criticità della legislazione italiana nel riferimento al ruolo degli osteopati, al loro impatto nella sanità nazionale e alla corrispondenza qualitativa con la comunità osteopatica internazionale. Infatti, se da un lato il riconoscimento del valore sanitario delle prestazioni osteopatiche e del ruolo educativo degli osteopati rappresentino innegabile punto di forza della recente normativa, d’altro canto la non acclarata validità dei modelli attestanti la validità della cura e la non conoscenza degli stessi da parte del mondo sanitario rendono precarie l’univocità e l’identificabilità della stessa professione, nonché la sua indispensabile interdisciplinarietà.

Per ovviare a tali criticità, la comunità scientifica osteopatica pone l’accento sui seguenti obiettivi:

1) uniformare il più possibile la professione italiana con le modalità del suo esercizio internazionale;
2) promuovere la ricerca e divulgarne le risultanze allo scopo di “definire e condividere un nuovo concetto di disfunzione somatica” basato sulle evidenze, con l’obiettivo di mantenere e promuovere la salute in senso lato;
3) prevedere percorsi di studi coerenti agli standard europei e con i parametri riferiti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, essendo il ciclo di formazione triennale previsto in Italia inadeguato rispetto a tutti gli altri modelli stranieri.

Da parte nostra siamo convinti che, in ottemperanza al dettato della nuova legge, le dimostrazioni di efficacia del trattamento muscolo-scheletrico finalizzato a prevenire condizioni penalizzanti la qualità della vita a lungo termine potrebbero rappresentare significativo contributo scientifico. Tale apporto culturale e legislativo nazionale potrebbe altresì orientare l’evoluzione della stessa professione nel contesto sanitario e giuridico europeo. Per conseguire il risultato la nostra Associazione condivide la necessità attuale di riferire i piani di studi osteopatici italiani e le rispettive modalità pedagogiche a quelli esistenti in Europa, come riferito dalla ricerca, non soltanto per consentire la necessaria mobilità professionale tra diverse nazioni.

Alla stessa stregua, ogni riferimento per l’identificazione dei requisiti di competenza ai fini dell’abilitazione professionale degli osteopati italiani non dovrebbe prescindere dall’equivalenza formale con gli analoghi corsi europei, ovvero da specifica tracciabilità di requisiti pedagogici che possa consentire univocità e identificabilità nazionale e internazionale degli stessi professionisti. Ne consegue proposta di identificazione di un primo contingente di osteopati con qualificazione europea compatibile a cui riferire anche il previsto adeguamento delle competenze ex lege 3/2018, ovvero le nuove modalità di formazione universitaria.

Pubblicazione su Profilo professionale italiano

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